E se il cliente non avesse sempre ragione?

Aprire un ristorante è il sogno di molti. Ma passare da una semplice proiezione alla realtà non è impresa semplice. Un articolo su Dissapore tenta di sfatare i luoghi comuni sul buon “restaurant manager”.

“Questa volta, giuro che lo faccio: mollo tutto e apro un ristorante”. Alzi la mano chi ha pensato e/o pronunciato questa frase almeno una volta nell’ultimo mese. Peccato che l’amore incondizionato per tutto ciò che ruota intorno ai fornelli, una cieca fiducia nelle proprie capacità imprenditoriali, una certa disponibilità economica e un sano desiderio di rivoluzionare la propria esistenza non bastino, ammesso di essere in presenza di una tale concomitanza di fattori, a garantire la trasformazione del sogno in realtà. Ad affrontare la questione è Lorenza Fumelli in un articolo su Dissapore, blog a tema enogastronomico tra i più quotati e volutamente provocatori, di cui la stessa autrice è una delle firme di punta.

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Già a cominciare dal titolo, “Il sogno di aprire un ristorante: 10 regole per non chiuderlo prima di svegliarsi”, Fumelli non lascia spazio a dubbi. Aprire un ristorante, oggi, non è una passeggiata. Non solo, pensare di farlo è paragonabile a un atto di pura e semplice “irresponsabilità”. Eppure, c’è chi decide di lanciarsi comunque nell’impresa. Ecco allora che, a uso e consumo dei più temerari o folli che dir si voglia, l’autrice decide di “smascherare” tutti quei falsi miti che vengono comunemente considerati regole auree per diventare un buon restaurant manager. A cominciare dalla prima, la più conosciuta di tutte: “Il cliente ha sempre ragione”.

Per l’autrice non è affatto così: in un ristorante capita anche, e spesso, che il cliente sia in torto marcio. Il consiglio è dunque quello di imparare a gestire la situazione, di trovare il giusto compromesso. Perché un buon restauratore “non guarda ai clienti né come padroni del suo ristorante né come soldi che camminano. Instaura un rapporto diretto, sa spiegare le proprie ragioni e sì, può anche scegliere di non voler vedere più un cliente cafone al suo tavolo. E’ nei suoi diritti”.

Punto secondo, il personale. Esigere prestazioni alte va bene, a patto di saper garantire lo stesso livello nelle proprie. E dunque “essere il primo a dimostrare, e poi pretendere, grande competenza”. Importante è anche la questione della pubblicità che, secondo molti, sarebbe la prima, fondamentale ricetta per il successo. Ma Fumelli lo mette in chiaro: “La chiave sta nel come farsi conoscere. Passare la giornata taggando gli amici di Facebook su ogni piatto del del menù, tutte le sere dell’anno, potrebbe essere controproducente”. E dunque “ben venga l’uso delle nuove tecnologie, senza dimenticare qual è, in effetti, il nostro mestiere”. Giusto, invece, monitorare continuamente a che punto è la situazione economica e dunque “conoscere fino al più piccolo dettaglio tutte le spese del proprio ristorante”. E, ancora, “attivare strategie di promozione, consentire tutte le forme di prenotazione e di pagamento, essere innovativi, essere green per risparmiare e per condividere valori”.

Ma c’è dell’altro. L’autrice si sente in dovere di dare un altro paio di consigli, personalissimi e spassionati, ai propri lettori. Intanto, “chi apre un ristorante dovrebbe essere cosciente che sta gestendo un’azienda, non il luogo di incontro dei suoi amici”. E ancora, semplicemente, bisogna “esserci”. Già, perché quello del ristoratore “è uno dei mestieri più faticosi in assoluto: gli orari sono impietosi, le cose da fare troppe, la possibilità di delegare relativa”. Infine, la regola più importante, ma non la più scontata. Amare il proprio lavoro. E “follemente”.

A giudicare dalla valanga di commenti apparsi in coda al post, l’argomento è di quelli che fanno discutere. C’è chi invoca la passione. Chi la consapevolezza dei propri limiti. Chi aggiunge la propria regola d’oro, per esempio “dare sempre l’impressione di offrire qualcosa al cliente”. Chi, invece, rigetta simili strategie. E voi, come la pensate?

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