Nell’iniziare questa nuova rubrica su “Cibo e arte” ci siamo chiesti quale potesse essere il dipinto migliore da raccontare. Una natura morta? Un banchetto? Una composizione barocca e antropomorfa? Alla fine abbiamo deciso di partire dall’essenziale.
Nel quadro “Il mangiatore di fagioli” che Annibale Carracci ha dipinto nel 1584 si torna all’origine del rapporto tra uomo e alimentazione. L’ambientazione è quella di una taverna o comunque di una casa di poche pretese. L’uomo ha le mani e il volto di un popolano sorpreso nell’intimità del pasto che consuma in solitudine. La tavola è imbandita con semplicità.
Per contro gli alimenti sono ancora succulenti e vivi malgrado i loro quattrocentocinquant’anni. I fagioli hanno l’aria di essere ben cotti e soprattutto ben conditi e dal cucchiaio, di cui l’uomo perde un attimo il controllo per la sorpresa di essere spiato, cola un sughetto invitante.
Il pane sembra fragrante, fresco e abbondante, va considerato che un operaio del tempo poteva mangiarne anche un chilo al giorno in sostituzione di alimenti più costosi. Vicino alla ciotola dei fagioli, un mazzetto di cipollotti freschi di cui vorremmo sentire il sapore, certo la cucina bio era un must in quell’epoca dove ancora la chimica si chiamava alchimia e cercava la pietra filosofale.
In primo piano un piatto di funghi che sembrano grigliati o fritti. I fagioli potrebbero essere una delle nuove varietà inserite attraverso i traffici col nuovo mondo, oppure i più nostrani fagioli con l’occhio che dopotutto altro non erano che gli antenati autoctoni delle delle varietà americane, quella pianta già nota ai romani che la importavano dall’Egitto. Comunque con l’occhio o senza sempre del meno nobile dei legumi si tratta, considerato da sempre la “ carne dei poveri”.
Ma oltre a tutto questo c’è un altro protagonista del dipinto che da senso a tutto il resto e lo rende reale e vicino a chi guarda. Un convitato di pietra imprescindibile: la fame! Una fame antica, che forse nessuno di noi conosce più, che doveva essere fonte di grande sofferenza da una parte e di immensa soddisfazione dall’altra. Si mangia perché si ha fame sembrano dirci l’autore e il suo personaggio, e la fame, quella vera, soddisfatta è uno dei più grandi piaceri dell’esistenza.