Una carrellata nelle metafore che ruotano intorno all’atto di cucinare. Una nave, un teatro, un ambulatorio, un tempio. In quanti luoghi si può viaggiare semplicemente muovendosi da un fornello all’altro?
Come recitare : Chiedendo ad un’amica Chef quale sia l’emozione che prova in cucina, ci racconta che, per lei, il momento della “battuta” somiglia all’ inizio di una rappresentazione teatrale. I clienti arrivano e tutto quello che si era provato, pensato, organizzato, prende vita. Si alza il sipario e ognuno interpreta la sua parte cercando di compiere il minor numero di errori. Non è previsto l’applauso, ma i volti sereni dei camerieri che tornano con i piatti spazzolati, i complimenti, la sala che si riempie anche la sera successiva lo sostituiscono senza farlo rimpiangere.
Come navigare: “ la cucina è una nave che salpa dal molo, pronta ad attraversare bonacce e tempeste,” ci dice uno studente universitario lavapiatti per necessità” lo Chef è il capitano che urla ordini come se da un momento all’ altro tutto si dovesse ribaltare, i camerieri che si avvicendano sono marinai, tenenti, il lavapiatti è il mozzo, e i clienti i passeggeri. Qualsiasi cosa accada la traversata dovrà apparire serena e tutto dovrà sembrare sotto controllo, fino al momento in cui i clienti sorridenti scenderanno di nuovo a terra, fuori dal ristorante. Una volta raggiunta la riva opposta, asciugato l’ultimo bicchiere, si potrà rilassarsi sul ponte a guardare le stelle”.
Come fare l’amore: “Cooking is like making love. It should be entered into with abandon or not at all.” Sosteneva Harriet Van Horne su Vogue magazine, negli anni cinquanta. D’accordo con questa idea anche il padrone di un ristorante fiorentino che, durante una chiacchierata ci dice che per lui la frenesia del servizio, l’attenzione a far sì che tutti siano soddisfatti, la cura, la dedizione e la passione che occorrono a uno Chef per nutrire tutti gli avventori, siano simili all’ atto sessuale. Nel momento “clou” si entra quasi in “trance”, per poi distendersi alla fine e magari accendersi una sigaretta con le luci abbassate.
Come scrivere: ” La capacità di scegliere gli ingredienti non è molto differente da quella di scegliere le parole giuste, amalgamarle, accostarle per senso e contrasto, lasciare che alcune spicchino sulle altre. Scrivere è un atto di generosità come lo è cucinare, entrambi nutrono il corpo e l’anima di chi se ne ciba.” Dal sito evbishop.
Come meditare: “Quando ho chiesto Suzuki Roshi un consiglio su come meditare lavorando in cucina, ha risposto: “Quando si lava il riso, lavare il riso. Quando si tagliano le carote, tagliare le carote. Quando si mescola la zuppa, mescolare la zuppa ” Questa e molte altre riflessioni sull’arte di cucinare come presa di coscienza di se stessi e metodo di meditazione si possono trovare nel resoconto che Edward Spe Marrone fa nel suo articolo sul sito Shambhalasun.
Come autoterapia: “Quando mi sento triste, arrabbiato, deluso, o addirittura felice ed emozionato, cucino. Non so se trasferisco le mie emozioni in quello che sto cucinando ( come accade nel bellissimo film “Come l’acqua per il cioccolato” ) ma la cucina certamente mi aiuta ad attraversare, trasformandoli, i miei sentimenti. Cucinare è un arte e proprio come un pittore o un cantante si appaga e progredisce comunicando, facendo del suo mezzo creativo la sua personale chiave di lettura, io mi esprimo attraverso l’arte di cucinare, che, come ogni arte diventa sovente la migliore terapia per chi la compie”. Dal sito yourhealthista
Quale che sia la metafora, cucinare è un’azione che mette radici nel nostro Io più profondo, la dove vivono l’ancestrale istinto di sopravvivenza e la primaria richiesta d’amore.